Dark Age
Blog di approfondimento dei progetti di "neRo POP", il gruppo di artisti che rappresenta la vena dark del corpo Neo Pop con l'obiettivo di raffigurare l’immaginario di una società in crisi e dall’inquietante lato oscuro, mediante il confronto con attualità, notizie, letteratura, saggistica, musica e spettacolo.
mercoledì 6 novembre 2013
"L'Effimero colto dal velo d'organza" di Federica Gonnelli. Prima mostra personale di neRo POP
A cura
di Adriana M. Soldini
8 – 24 novembre 2013
Tengo le fila tra passato e presente,sul bordo dell’oblio,
custodisco le mie ombre in teche,
come piccole cose preziose da salvare.Reliquiari, fragili e silenziosi,
su cui si distendono i miei veli. Federica Gonnelli
Nell’ambito
di “Giovani idee in transito” in Sala
Dogana a Palazzo Ducale - Genova, venerdì
8 novembre 2013, alle ore 18,
inaugura L’effimero colto dal velo d’organza, personale di Federica Gonnelli, a cura della
narratrice d’arte Adriana M. Soldini,
in mostra fino al 24 novembre 2013.
L’artista
si propone attraverso il suo alter ego: il velo
d’organza, la pelle dell’opera. La sua interposizione non è di ostacolo, ma
è il tramite che porta alla conoscenza e all’archiviazione del sapere.
Attraverso il medium espressivo che predilige e in cui eccelle, l’installazione, lo spettatore vedrà mondi fantastici
dettagli intimi di ricordi che la memoria conserva; tracce di vissuto annidate
nei meandri dell’inconscio che l’arte di Federica fa emergere e rende visibili all’interno
di contenitori-case-rifugi, come
tesori da preservare. Spesso non
tangibili, per la loro fragilità e perché lo spettatore non si fermi alla loro
corporeità. Non solo immagini, ma ci sono parole
riferite a emozioni o a riflessioni intime in cerca di eternità. È tangibile
come il rapporto tra corpo e natura costituisca uno dei fili conduttori
della sua arte. Il linguaggio artistico
di Federica Gonnelli si sviluppa in una molteplicità di significati e di
varianti di significato. È al contempo raffinato e ironicamente pop. Sa essere
maestoso senza essere urlato e sa essere convincente anche nell’infinitamente
piccolo.
“È
come una trasmutazione continua dello stato della materia e dell’antimateria,
della sostanza e dell’essenza, dove sono rilevanti i luoghi dal confine sfumato
e dalla natura labile che si pongono nei punti di contatto tra diversi stadi e tra
stati” – afferma la curatrice Adriana M. Soldini.
L’artista offre
l’invito a compiere un viaggio
iniziatico verso una maggiore consapevolezza di sé, per il riconoscimento
dell’ identità personale e
collettiva. Dalla luce al buio. Dal
corpo in terracotta di L’Orna-mento/L’Orna-mente,
alla richiesta di esito positivo dell’impresa fatta con gli ex voto, fino al momento del passaggio
della cortina spazio-temporale con Effimeri
Parati. E così giungere nella stanza centrale dove il Tempo –
passato/presente/futuro – si svolge in un’atmosfera evanescente. Nel labirinto
dei percorsi offerti dalla memoria,
come il ricordo di un amore perduto in Louise
& Herbert, e dalla natura, come il bosco di Insonne Dormire Ri(s)veglia o l’albero di Cristalldii, l’artista si affida alla luce artificiale delle opere per fare strada allo spettatore tra le
finissime trame del tessuto. Una guida mai definibile che si avvale della
collaborazione dell’ombra, che esiste perché proviene da lei, la luce. Mentre
con la proiezione, l’artista sottolinea il concetto di transizione e la
possibilità di presenza dei corpi.
Il
progetto è presentato dal collettivo Arts
Factory (di cui fa parte l’artista con la curatrice e la poetessa Francesca
Del Moro) e dal gruppo neRo POP.
Nato nel 2011 da un’idea dell’artista Roberto
Messina e presentato a Berlino nel 2012 dalla curatrice del gruppo Adriana M. Soldini, intende
rappresentare la vena dark del corpo
Neo
Pop, senza costituire una corrente, ma muovendosi tra le correnti. Si
confronta principalmente con i temi caldi dell’attualità, con la letteratura e
la musica, che costituiscono il punto di partenza per raffigurare un
immaginario spesso malato, metafora di una società in crisi di valori, ipocrita
e dall’inquietante lato oscuro, su cui il gruppo tiene alta l’attenzione.
L’elemento distintivo è l’ex voto,
inteso come fonte che testimonia una
situazione e racconta una storia: omaggio a qualcosa o a qualcuno per
una corrispondenza di ideali o di azioni; celebrazione di un evento;
espressione visiva di un desiderio o di una promessa. Oltre ad Arts Factory e a Roberto Messina, il gruppo è composto da: Anonymous Art (Elena Bertoni, Simone Romano), Loredana Catania, Massimo
Festi, Shanti Ranchetti e Francesca Randi.
La mostra osserverà i seguenti orari:
dal martedì alla domenica
ore 15.00 – 20.00
Federica Gonnelli: www.federicagonnelli.it
Arts Factory: http://vimeo.com/user7538653
neRo POP: http://neropop.weebly.com/
L’effimero colto dal velo
d’organza è ’iniziativa del
progetto ‘Sala Dogana. Giovani idee in transito’, realizzato nell’ambito dei
Piani Locali Giovani - Città Metropolitane, promossi e sostenuti dal
Dipartimento della Gioventù - Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Anci
- Associazione Nazionale Comuni Italiani
Info
Comune di Genova _ Assessorato Cultura e
Turismo – progetto Sala Dogana. Giovani idee in transito
t 0039-0105573975 | 74806
Genova Palazzo Ducale Fondazione per
la Cultura – Ufficio Stampa
t 0039-0105574012 | 4047 | 4826 – ufficiostampa@palazzoducale.genova.it
t 0039-0105574012 | 4047 | 4826 – ufficiostampa@palazzoducale.genova.it
martedì 13 novembre 2012
Dell’Arte, dell’Artista e di Artissima. Lettera aperta della curatrice di neRo POP
Io credo che l’Arte sia la
più alta forma di comunicazione dell’essere umano.
Io credo che il ruolo più
nobile dell’artista sia quello di faro della società, essendo in grado di
riportarci al nostro passato e rinsaldare le nostre radici; farci comprendere profondamente
la nostra società ed essere specchio dei nostri tempi; a volte, di precorrere gli
eventi e farsi veggente.
Io credo fermamente che
l’Arte debba incidere sulle nostre esistenze, andando oltre il valore estetico
e culturale.
L’Arte racconta dell’identità
individuale e collettiva e serve più che mai nei periodi di crisi come il
nostro. Serve se ha spessore e non è semplice esercizio di stile.
Come curatrice, i miei progetti
devono innanzitutto intervenire su di me, mettendomi in discussione, e spero
che questo accada anche agli artisti partecipanti e al pubblico che vorrei
riflettesse su quanto visto e uscisse dalla visita di una mostra arricchito non
solo per la bellezza e la qualità delle opere esposte, ma con molte domande da
porsi.
Personalmente, scelgo di
lavorare solo con artisti che hanno qualcosa da dire e che non si piegano a
un’arte decorativa da abbinare con l’arredo casalingo. E di questi artisti in
Italia ce ne sono, molti di più di quanto si pensi, solo che spesso vengono
tenuti in disparte e il loro messaggio non arriva. E anche di curatori. Di
galleristi, molti meno.
Quando con l’artista Roberto
Messina ho fondato neRo POP, ho voluto dare al gruppo una veste profondamente
contemporanea, attenta alle problematiche dei nostri tempi e che fosse vicino
alla gente. È noto che il nostro scopo è quello di confrontarci con i temi
caldi dell’attualità e con le altre espressioni artistiche, scrittura e musica,
che fungono da stimolo per un’indagine approfondita sull’uomo e sulla società, affrontandone
senza timore i lati oscuri. Ed è così che al primo appuntamento, la collettiva Into the Darkness a Berlino (per chi
volesse verificare, questo è il link dove scaricare gratuitamente il catalogo: http://neropop.weebly.com/download.html)
ha subito affrontato temi spinosi: la depressione, il suicidio, in particolare quello
dovuto alla crisi economica; le stragi di famiglia, dove padri uccidono i figli
e le compagne, perché non riescono ad accettare la fine di un rapporto o perché
non si vogliono conformare al ruolo che gli hanno imposto. Purtroppo le vittime
di violenza sono soprattutto donne e bambini con un trend preoccupante. Grande
rilievo è stato dato al lato oscuro della società che tende ad annullare
l’identità personale a favore di una globalizzazione a 360 gradi: il consumismo
compulsivo che cerca di imporci; i ruoli da rivestire e le regole per essere
accettati; i canoni estetici a cui corrispondere anche a scapito della salute
(disturbi alimentari e smodato ricorso alla chirurgia estetica). Ma si è dato
spazio anche al pericolo di affidare al virtuale la nostra vera esistenza e di
fidarsi troppo delle identità presenti nelle chat o nei social network, alcune
delle quali create per commettere crimini. Si è poi voluto allertare le persone
nei confronti di chi si pone a guida del popolo a vario titolo (religioso,
politico, ecc.), ma con le intenzioni sbagliate. Tutto con la leggerezza del
Neo Pop che si propone come fiaba per adulti e, in modo analogo a quella per
infanzia, vuole essere d’aiuto all’uomo focalizzando l’attenzione su ciò che
merita un maggiore approfondimento, superando le paure. Gli artisti con cui
lavoro non fanno provocazione fine a se stessa, o per fare leva sulla morbosità
del pubblico con l’obiettivo di aumentare la loro visibilità e, magari, il valore
delle opere sul mercato. Noi abbiamo fatto questa scelta, ma ci sono tanti
altri argomenti di cui si può parlare. L’importante è avere qualcosa da dire e
nell’Arte di oggi questo non è scontato.
Credo anche nell’Arte affiancata da una certa etica, dove si prevede per esempio il rispetto per il pubblico,
che non va preso in giro e mai tradito. Altrimenti, finisce per non credere più
all’artista che ne perde la fiducia e viene privato del suo ruolo.
Sabato, sono stata a Torino per Artissima e ci sono andata ancora con l'ingenua speranza di trovare qualcosa
che mi stupisse e mi emozionasse.
Invece, ho provato prima
perplessità, poi sono passata alla tristezza e per finire a un senso di
imbarazzo nei confronti del pubblico.
Ma quanto ciarpame privo di senso spacciato per Arte!
Immondizia presa direttamente dalla discarica e depositata dentro agli stand, in nome dell’arte fatta con materiali di riciclo. Nobilissima, ma c’è modo e modo… Allora basta davvero prendere quattro rebbi di forchetta e attaccarli a un metro avvolgibile per fare un’opera d’arte? O esporre su un dozzinale vassoio di metallo un ammasso di denti umani? E dire che da tempo immemore cabarè pieni di denti vengono esposti in Piazza Jemaa el Fna a Marrakech. Forse quei venditori non sanno di essere degli artisti.
Ma quanto ciarpame privo di senso spacciato per Arte!
Immondizia presa direttamente dalla discarica e depositata dentro agli stand, in nome dell’arte fatta con materiali di riciclo. Nobilissima, ma c’è modo e modo… Allora basta davvero prendere quattro rebbi di forchetta e attaccarli a un metro avvolgibile per fare un’opera d’arte? O esporre su un dozzinale vassoio di metallo un ammasso di denti umani? E dire che da tempo immemore cabarè pieni di denti vengono esposti in Piazza Jemaa el Fna a Marrakech. Forse quei venditori non sanno di essere degli artisti.
Ma che dire degli animali morti buttati a terra, come le
numerose cocorite distribuite lungo i muri di uno stand vuoto o la bellissima
civetta delle nevi deposta su un basso ripiano che camminando per la corsia si
poteva anche urtare, calpestandola. Oltre alla pena per quei poveri resti, c’è
il disgusto per chi con cinismo non ha rispetto di nulla e di nessuno, volto
solo a provocare, in nome della ricerca spasmodica della notorietà. Riprendendo
il famoso dialogo al telefono di Moretti: “Mi si noterà di più se faccio una
vera installazione o se sconvolgo tutti mettendo degli animali morti?”.
A parte i deliri degli pseudo-artisti, ancora peggio sono i
galleristi che danno loro credito. E poi, pensano davvero di fare qualcosa di
eclatante? È solo squallido e chi si occupa davvero di Arte ne aveva già
abbastanza anni fa alla comparsa dei bambini impiccati di Cattelan!
Certo è che gli pseudo-artisti si prestano a essere
agevolmente manovrati da quel genere di galleristi che potrebbero vendere allo
stesso modo auto usate, prosciutti e prodotti ortofrutticoli. Sono quelli che
tollerano poco gli artisti di spessore, ricchi di personalità, che dedicano
tempo a seguire vie sempre nuove. Con loro si scontrano e li accusano di fare
troppa “sperimentazione”, come se fosse un insulto. Mentre con chi non ha nulla
da dire è facile: “Abbiamo appena venduto un pezzo di latta con un buco in
mezzo a un russo! Fammene altri venti uguali entro domani che li vendiamo anche
ai suoi amici!”. E lo pseudo-artista ubbidiente si mette a prepararli. Tanto
che ci vuole? Poi, si dice che per essere artista “basta l’idea”. Ma quale
idea? Qui non ci sono idee! O se ne inventano di banali sul momento; oppure,
sono tanto astruse che non ne capisci il collegamento con la miseria che ti
trovi davanti. Tutto per rimarcare con snobismo la loro distanza con la folla
plebea troppo ignorante per capire. Vorrei tranquillizzare tutte le persone che
ho visto soffermarsi perplesse agli stand della fiera: non vi preoccupate, non
c’è nulla da capire.
L’Arte è di tutti ma non tutti possono essere artisti. Non si
capisce perché fare l’artista debba essere l’unico mestiere al mondo per cui
non occorra talento, studio e professionalità. Come la pittura presente ad
Artissima, che sta lentamente prendendo più spazio, ma non si sa se
compiacersene. Ho visto esposte delle
tele che neanche “i pittori della domenica” realizzerebbero.
Non si può pensare che basti infilare dentro alla fiera una
sezione dedicata agli artisti storicizzati per elevare alla gloria degli altari
l’immondizia contemporanea proposta con tanta supponenza.
Poi, ci sono quelle gallerie che portano sempre i soliti
artisti, bravi per la carità, ma che fanno sempre le stesse cose. Restano
fermi, perché quello si vende ed è un rischio proporre qualcosa di diverso.
Sono diventati copisti di se stessi.
Dov’è finita la magia che si crea quando l’opera posta
davanti al pubblico parla ad ogni spettatore con parole e lingue diverse, a
seconda delle origini, del vissuto, dell’età, della cultura?
Invece, si gira in mezzo a cumuli di oggetti muti, privi di
vita. È un cimitero, dove ogni tanto si scorge con fatica qualche opera ancora
viva, come quelle di Rania Bellou, artista greca che vive a Londra, presentata dalle
Kalfayan Galleries. E a proposito delle gallerie straniere, è lecito
chiedersi se sono davvero il meglio che offre il mercato estero.
Quali sono i criteri di scelta? E quali giochi di potere e
giri di denaro ci sono dietro?
Se quella esposta è l’arte del futuro, allora non esiste
futuro. Siamo di fronte a un animale in agonia che preannuncia una fine
prossima.
Ma io non lo credo e non lo credono neanche i tanti artisti e
curatori incontrati con cui mi sono confrontata o che mi hanno scritto in
privato, rattristati quanto me. Anche se non è la prima volta che vediamo cose
simili nelle fiere, nelle gallerie e ai premi che spuntano come funghi, perché
con la crisi almeno si raccimola qualcosa con le iscrizioni, a spese di
appassionati del pennello, ma anche di chi è un artista serio, troppo serio per
essere preso in considerazione in quello che è stato definito il sistema
mafioso dell’Arte Contemporanea. Già, non sembra vero, ma è bastato coniare
questa terminologia per dare vita alla “Grande Truffa”. Così la definisce un
interessante post di un altro blog, che desidero segnalare (http://www3.varesenews.it/blog/labottegadelpittore/?p=10000).
Lì troverete che a protestare sono finalmente tanti
autorevoli operatori dell’arte: Rudolf Arnheim, storico dell’arte e psicologo; Jean Clair, storico dell’arte,
curatore e membro dell’Académie Française; David Hockney, artista; Richard
Sennet, sociologo e scrittore; Julian Spalding, ex direttore dei musei di Glasgow, Manchester e
Sheffield; Roy Strong, gallerista, ex direttore del Victoria & Albert
Museum e della National Portrait Gallery di Londra.
Marc
Fumaroli, storico saggista e anch’egli membro dell’Académie Française, rivela: “Oggi, il mercato è dominato dal cinismo e dalla
speculazione di collezionisti miliardari, i quali riconoscono come opere d’arte
solamente un certo numero di oggetti – o meglio di non oggetti – che
rappresentano l’antitesi di tutto quello che abbiamo considerato arte fin dalle
origini dell’umanità. Tutto il resto viene ignorato”.
Ad Artissima, stavolta si è passato il segno. E mi dispiace,
perché è un’occasione mancata di farne la fiera più sperimentale d’Europa.
Oltretutto, ha il pregio di trovarsi a Torino, una città che amo, capoluogo
della mia regione d’origine e che ritengo sia oggi la capitale della cultura in
Italia. Dalle Olimpiadi invernali in poi, vive un vero Rinascimento. Forse è
anche per questo che stride ancora di più il contrasto tra l’effervescente e
innovativa Torino e Artissima con il suo vuoto cosmico di contenuti.
Infatti,
bastava farsi un giro nella “Notte bianca” per risollevare lo spirito
mortificato. Belle mostre e interessanti progetti. Uno fra tutti viadellafucina
A.I.R., programma di residenza per
artisti 2012, un progetto di Kaninchen-Haus (http://kaninchenhaus.org/progetti/viadellafucina/)
nell’ambito del bando Generazione Creativa della Compagnia di San Paolo da
un’idea di Brice Coniglio, con l’obiettivo di far cooperare artisti torinesi con
artisti stranieri per la realizzazione di progetti sull’area di Porta Palazzo,
coinvolgendo le varie realtà esistenti e i singoli abitanti. Il 9 novembre c’è
stata l’inaugurazione della mostra conclusiva del programma di residenza
sperimentale, a cura di Brice Coniglio e Nicoletta Daldanise, che ha avuto molto
successo; così come il party della serata successiva.
Per avere i risultati migliori, occorre tempo e fatica. Al venditore di denti che si spaccia per artista, voglio solo dire che per fare un’opera d’arte bisogna sudare un po’ di più.
Per avere i risultati migliori, occorre tempo e fatica. Al venditore di denti che si spaccia per artista, voglio solo dire che per fare un’opera d’arte bisogna sudare un po’ di più.
Kaninchen-Haus è un
esperimento di integrazione che avvicina il pubblico all’Arte, perché l’Arte
deve essere parte della vita delle persone, di tutte.
Spero che la crisi porti
qualcosa di buono: che faccia piazza pulita di questo sistema corrotto e di chi
ne fa parte, per portare finalmente in primo piano l’Arte con la A maiuscola che nel passato ha
reso celebre l’Italia nel mondo.
A.M. Soldini
sabato 3 novembre 2012
Femminicidio in Italia: superata quota 100
No, non si vince nulla. Il numero
delle vittime è una sconfitta per tutti e soprattutto per chi ha l’incarico di
porvi fine.
Ogni 48 ore una donna viene uccisa in Italia. Telefono Rosa parla di morte in contesti di violenza domestica, uccise dal compagno, marito, amante o ex, addirittura dal padre o dal fratello. Secondo il rapporto 2011, l’87% delle donne che si sono rivolte all’associazione hanno subito violenza dai loro “cari” e secondo l’Istat il tasso di questi omicidi supera il 70% sul totale delle donne uccise. Ogni vittima rappresenta una storia, fatta di scelte, relazioni, sogni che viene spezzata in un attimo, come non avesse valore.
Non sempre le donne minacciate e abusate tacciono per timore, subendo una escalation di violenze che farà loro perdere la vita. Spesso, troppo spesso, sono donne che prima con voce debole e poi sempre più forte hanno chiesto aiuto, ma a conti fatti la legge difende più i criminali che le vittime. Il rapporto Italia 2011 dell’Eurispes rivela che le denunce nel 40% dei casi sono arrivate prima del crimine. Ma che pretendere se viviamo in un paese che solo nel 1981 ha abrogato le attenuanti previste dal Codice Rocco per il “delitto d’onore”?
Così come per le vittime di stupro, che si devono difendere in tribunale dagli attacchi lascivi di giudici e avvocati che scaricano su di loro la colpa e le umiliano violentandole di nuovo. Che dire del disgusto suscitato dalla recente sentenza della Cassazione secondo cui per gli autori di uno stupro di gruppo il giudice non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere degli indagati, ma può applicare misure cautelari alternative? In poche parole, gli stupratori restano liberi. Liberi di farla pagare a chi li ha denunciati. Sentenze scritte da uomini, su leggi fatte da uomini, in un paese governato da uomini. E con articoli scritti da uomini che cercano di giustificare i carnefici, sottintendendo che la donna ha le sue responsabilità di quanto accaduto: “un gesto irrazionale”, “un disagio sociale”, “sconvolto dalla depressione”, “delitto passionale”, “non sopportava di essere lasciato, perché l’amava troppo”, ecc. Tanto vergognoso da far insorgere le croniste che hanno costituito GiULiA, la rete delle Giornaliste unite libere autonome, contro la cronaca-spettacolo, l’uso del corpo delle donne sui media e per un’informazione rispettosa delle donne.
È più di un sospetto l’idea che sia nei tribunali che sui giornali e nella società, il carnefice, qualunque carnefice, sia in realtà ammirato per avere imposto con la forza la sua volontà, mentre la vittima è disprezzata per la sua debolezza, perché non ha saputo difendersi. E lo dimostrano la condiscendenza con cui vengono trattati i criminali: vengono chiamati con il nome di battesimo, che indica un volersi avvicinare al personaggio, avere con lui famigliarità; la loro vita è costantemente sotto i riflettori come star, invitati nei salotti televisivi e corteggiatissimi anche solo per un commento; ricevono migliaia di lettere di fan nelle carceri e ci si preoccupa che lì la loro salute non sia compromessa, altrimenti bisogna correre ai ripari e farli uscire.
“Nessuno tocchi Caino”, ma di Abele e delle altre vittime si dimenticano tutti molto presto, perché non sono abbastanza interessanti. Sono personaggi troppo deboli che non fanno audience. Non solo. Le loro lamentele risultano anche fastidiose!
Così, le donne minacciate e violate vengono lasciate sole dallo Stato e si portano addosso un marchio indelebile: la condanna a morte. Occorrerebbe che certi giudici fossero perseguibili penalmente per istigazione a delinquere e, nei casi peggiori, come mandanti di femminicidio.
Ogni 48 ore una donna viene uccisa in Italia. Telefono Rosa parla di morte in contesti di violenza domestica, uccise dal compagno, marito, amante o ex, addirittura dal padre o dal fratello. Secondo il rapporto 2011, l’87% delle donne che si sono rivolte all’associazione hanno subito violenza dai loro “cari” e secondo l’Istat il tasso di questi omicidi supera il 70% sul totale delle donne uccise. Ogni vittima rappresenta una storia, fatta di scelte, relazioni, sogni che viene spezzata in un attimo, come non avesse valore.
Non sempre le donne minacciate e abusate tacciono per timore, subendo una escalation di violenze che farà loro perdere la vita. Spesso, troppo spesso, sono donne che prima con voce debole e poi sempre più forte hanno chiesto aiuto, ma a conti fatti la legge difende più i criminali che le vittime. Il rapporto Italia 2011 dell’Eurispes rivela che le denunce nel 40% dei casi sono arrivate prima del crimine. Ma che pretendere se viviamo in un paese che solo nel 1981 ha abrogato le attenuanti previste dal Codice Rocco per il “delitto d’onore”?
Così come per le vittime di stupro, che si devono difendere in tribunale dagli attacchi lascivi di giudici e avvocati che scaricano su di loro la colpa e le umiliano violentandole di nuovo. Che dire del disgusto suscitato dalla recente sentenza della Cassazione secondo cui per gli autori di uno stupro di gruppo il giudice non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere degli indagati, ma può applicare misure cautelari alternative? In poche parole, gli stupratori restano liberi. Liberi di farla pagare a chi li ha denunciati. Sentenze scritte da uomini, su leggi fatte da uomini, in un paese governato da uomini. E con articoli scritti da uomini che cercano di giustificare i carnefici, sottintendendo che la donna ha le sue responsabilità di quanto accaduto: “un gesto irrazionale”, “un disagio sociale”, “sconvolto dalla depressione”, “delitto passionale”, “non sopportava di essere lasciato, perché l’amava troppo”, ecc. Tanto vergognoso da far insorgere le croniste che hanno costituito GiULiA, la rete delle Giornaliste unite libere autonome, contro la cronaca-spettacolo, l’uso del corpo delle donne sui media e per un’informazione rispettosa delle donne.
È più di un sospetto l’idea che sia nei tribunali che sui giornali e nella società, il carnefice, qualunque carnefice, sia in realtà ammirato per avere imposto con la forza la sua volontà, mentre la vittima è disprezzata per la sua debolezza, perché non ha saputo difendersi. E lo dimostrano la condiscendenza con cui vengono trattati i criminali: vengono chiamati con il nome di battesimo, che indica un volersi avvicinare al personaggio, avere con lui famigliarità; la loro vita è costantemente sotto i riflettori come star, invitati nei salotti televisivi e corteggiatissimi anche solo per un commento; ricevono migliaia di lettere di fan nelle carceri e ci si preoccupa che lì la loro salute non sia compromessa, altrimenti bisogna correre ai ripari e farli uscire.
“Nessuno tocchi Caino”, ma di Abele e delle altre vittime si dimenticano tutti molto presto, perché non sono abbastanza interessanti. Sono personaggi troppo deboli che non fanno audience. Non solo. Le loro lamentele risultano anche fastidiose!
Così, le donne minacciate e violate vengono lasciate sole dallo Stato e si portano addosso un marchio indelebile: la condanna a morte. Occorrerebbe che certi giudici fossero perseguibili penalmente per istigazione a delinquere e, nei casi peggiori, come mandanti di femminicidio.
Sì, è questo il termine da usare e non deve essere
frainteso, perché la lotta a questo abominio parte dal riconoscere l’omicidio
di genere, di una donna in quanto donna. Femminicidio è il neologismo coniato ufficialmente nel 2009,
quando il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana dei diritti
umani per le 500 donne violentate e uccise dal 1993 senza alcun intervento da
parte delle autorità di Ciudad Juarez, nello Stato di Chihuahua. Donne gettate
nella spazzatura o sciolte nell’acido anche da uomini delle forze dell’ordine.
Quindi, il femminicidio è un fatto sociale, perché
determinato da relazioni di potere. La vittima viene punita perché non si è
voluta conformare al volere della società patriarcale o dell’uomo che essa le
riconosce come suo “padrone”. Una società che si fonda su ideologie preposte a
giustificare e perpetuare discriminazioni, disuguaglianze, differenze di classe
a scapito del più debole, trattato più da oggetto che da soggetto. Questa è la
realtà italiana così come è stata riconosciuta dal Comitato per l’attuazione della CEDAW (la Convenzione ONU
per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne).
Nelle Raccomandazioni all’Italia, si
è detto “preoccupato per l’elevato numero di donne uccise dai propri partner o
ex-partner (femminicidi), che possono indicare il fallimento delle Autorità
dello Stato-membro nel proteggere adeguatamente le donne, vittime dei loro
partner o ex partner’’. L’Italia ha un altro triste primato: è stata la prima
volta che il Comitato CEDAW ha parlato di ‘femminicidio’ in relazione a un
paese non latinoamericano. Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni
Unite sulla violenza contro le donne ha affermato che “È la prima causa di
morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni”. Inviata in Italia a
valutare le “risposte” dello Stato, le ha ritenute “non appropriate, né di
protezione”, e ha definito senza mezzi termini il femminicidio “crimine di
Stato”, in quanto “tollerato dalle pubbliche istituzioni”.
Fatalmente consapevoli di una emancipazione incompiuta, le donne hanno la generosità e il coraggio di difendersi tra loro, fino al sacrificio estremo. Come Carmela Petrucci, la ragazzina siciliana di diciassette anni che ha fatto scudo con il suo corpo per proteggere la sorella dalla furia omicida dell’ex fidanzato, dando la vita per lei. A seguito dell’orrore suscitato, è stato pubblicato un appello dall’associazione nazionale dei centri antiviolenza “Donne in Rete” che annuncia Carmela come 105° vittima di femminicidio in Italia dall’inizio del 2012 e che chiede “al governo italiano, al Parlamento, alla società civile, affinché, in tempi brevissimi, sia ratificata nel nostro ordinamentola Convenzione del
Consiglio d’Europa firmata a Istanbul che vincola i Paesi aderenti ad azioni e
iniziative importanti di contrasto alla violenza sulle donne, sia finalmente
attuato il Piano nazionale antiviolenza e si sostengano con finanziamenti
adeguati, tutti i centri antiviolenza aderenti alla Rete nazionale”.
Il giornalista Riccardo Iacona ha raccolto le storie dei carnefici nel libro Se questi sono gli uomini, pubblicato da Chiarelettere editore. Ne è uscito il ritratto raccapricciante di uomini che odiano le donne perché sono vincenti dove loro falliscono e si sentono autorizzati a recuperare il potere usando la violenza. Incapaci di accettare il rifiuto, cercano di impedire che la donna possa sottrarsi a costrizioni e controlli. Soprattutto, non ne tollerano la capacità di riuscire a vivere da sole, perché loro sono privi di autonomia emotiva.
Fatalmente consapevoli di una emancipazione incompiuta, le donne hanno la generosità e il coraggio di difendersi tra loro, fino al sacrificio estremo. Come Carmela Petrucci, la ragazzina siciliana di diciassette anni che ha fatto scudo con il suo corpo per proteggere la sorella dalla furia omicida dell’ex fidanzato, dando la vita per lei. A seguito dell’orrore suscitato, è stato pubblicato un appello dall’associazione nazionale dei centri antiviolenza “Donne in Rete” che annuncia Carmela come 105° vittima di femminicidio in Italia dall’inizio del 2012 e che chiede “al governo italiano, al Parlamento, alla società civile, affinché, in tempi brevissimi, sia ratificata nel nostro ordinamento
Il giornalista Riccardo Iacona ha raccolto le storie dei carnefici nel libro Se questi sono gli uomini, pubblicato da Chiarelettere editore. Ne è uscito il ritratto raccapricciante di uomini che odiano le donne perché sono vincenti dove loro falliscono e si sentono autorizzati a recuperare il potere usando la violenza. Incapaci di accettare il rifiuto, cercano di impedire che la donna possa sottrarsi a costrizioni e controlli. Soprattutto, non ne tollerano la capacità di riuscire a vivere da sole, perché loro sono privi di autonomia emotiva.
venerdì 12 ottobre 2012
In tempo di crisi, chi salvare e chi buttare dalla torre?
Si è appena concluso a Milano il Congresso della Società italiana di Psichiatria, da cui sono emersi dati interessanti in merito ai suicidi in Italia per difficoltà finanziarie e problemi di lavoro. Lo studio è stato presentato dallo stesso presidente del congresso, il Dott. Claudio Mencacci che è anche direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano.
Secondo i dati presentati, l’aumento dei suicidi si è registrato nel triennio 2008-2010, quando il tasso (tra quelli tentati e quelli riusciti) è aumentato di cinque volte.
Secondo i dati presentati, l’aumento dei suicidi si è registrato nel triennio 2008-2010, quando il tasso (tra quelli tentati e quelli riusciti) è aumentato di cinque volte.
Nel 2008, i casi tra i disoccupati sono stati 260. Nel 2009, c’è stata una crescita del 37,3% per un totale di 357 e quelli per ragioni economiche 198; mentre il 2010 si è rilevata una leggera flessione del fenomeno nella misura del 5,5% per 187 casi, in controtendenza rispetto all’acuirsi della crisi finanziaria.
Nei primi nove mesi del 2012, ci sono stati 20 tentativi di suicidi e 68 suicidi riusciti. Tra gli ultimi, a fine settembre, se ne sono verificati due nel veneziano. A Noale (VE), è stato un artigiano di 52 anni a impiccarsi per qualche decina di migliaia di euro di debiti e per crediti che non riusciva a riscuotere. Il giorno prima, a Campagna Lupia, si era sparato un colpo di fucile al petto un impresario edile di 47 anni, dopo aver cercato di far esplodere la casa dove era cresciuto da bambino con i suoi genitori, ultimo bene a perdere da quando la sua ditta era fallita tre anni fa.
Secondo l’analisi effettuata dalla Link Campus University, a detenere il primato per numero di suicidi è proprio il Veneto, parte di quel nord-est produttivo che per oltre trentanni ha costituito l’area industriale più importante in Italia.
È sempre di questi giorni, la pubblicazione dell’indagine Il suicidio in Italia ai tempi della crisi dell’Istituto Eures che identifica nelle categorie dei disoccupati, degli esodati e degli imprenditori, i soggetti a rischio crescente di suicidio nel nostro paese.
Ma la stessa ricerca invita a trattare con cautela i dati, perché il suicidio è una materia complessa ed è difficilmente dovuto a una sola causa. Inoltre, il “suicidio economico” costituisce solo una percentuale bassa tra quelli effettivamente compiuti. Lo fa anche l’Istat, che ricorda l’Italia agli ultimi posti nelle statistiche di mortalità per suicidio tra i Paesi Ocse e raccomanda ai mezzi di informazione un trattamento responsabile della diffusione delle notizie, perché il suicidio è un evento che comporta una forte componente di emulazione. E la stima per il 2012 è li vede scendere intorno ai 110 casi.
Ma la stessa ricerca invita a trattare con cautela i dati, perché il suicidio è una materia complessa ed è difficilmente dovuto a una sola causa. Inoltre, il “suicidio economico” costituisce solo una percentuale bassa tra quelli effettivamente compiuti. Lo fa anche l’Istat, che ricorda l’Italia agli ultimi posti nelle statistiche di mortalità per suicidio tra i Paesi Ocse e raccomanda ai mezzi di informazione un trattamento responsabile della diffusione delle notizie, perché il suicidio è un evento che comporta una forte componente di emulazione. E la stima per il 2012 è li vede scendere intorno ai 110 casi.
Ma cosa si può fare per la quarantina di persone che dovrebbero togliersi la vita da oggi a fine anno? Come aiutarli?
Magari iniziando a prestare più attenzione a chi si trova in difficoltà, ora un invisibile della società. Certo, perché l’attenzione dei mass media è tutta per i vari Lusi, Fiorito e Maruccio, a cui la vita già piena di privilegi non bastava e così ingordamente hanno rubato milioni di euro per vivere nel lusso più sfrenato, comprandosi case come giocassero a Monopoli. Proprio loro, chiamati a governare per il benessere del paese, hanno tradito il giuramento fatto e hanno danneggiato gli italiani. Chi non li ha ammirati in tv, rincorsi come star dai giornalisti e intenti a saltare da una trasmissione all’altra, invitati perché fanno salire lo share. E poi, non fanno un po’ di invidia ai conduttori e a chi è lì presente? Intanto, le star se ne stanno sul trono a testa alta. Ma quale pentimento? Grassi di boria, si mostrano fieri della loro “furbizia” e non esitano a negare l’evidenza, perché lo scherno continua.
E che dire della truffa da 100 milioni di euro ai danni di 400 comuni italiani e dei loro abitanti ad opera della Tributi Italia Spa, azienda con il compito di riscuotere l’Ici? Il capobanda è Giuseppe Saggese, ad della società, a cui il bottino ha dato alla testa, arrivando a prelevare 10.000 euro al giorno. Naturalmente sulla sua lista delle spese compaiono in primis i consueti status symbol: yacht, aerei privati, autovetture di lusso, soggiorni in località prestigiose, feste mondane.
Andranno tutti in galera? E chi c’è già, quanto ci resterà? In Italia, occorre rubare e uccidere tanto, tanto davvero, per restare impuniti o quasi. Chi tra di loro è agli arresti, è certo di uscire a breve per continuare a godersi la vita. No, loro non si suicidano. Purtroppo, resteranno ancora un peso per la nostra società, fatta soprattutto della numerosa base di invisibili che si suicidano e di quelli che soffrono, ma che ancora rifiutano l’idea di porre fine alla loro vita devastata dai problemi. Come Michele Pansera che oggi ha scritto al direttore di una testata giornalistica. Elettricista in cassa integrazione, vive con la moglie e la figlia di quasi 3 anni con 250 euro al mese in 37 mq. Scrive: “Mille curriculum vitae spediti ma mai nessuna risposta, cosa mi rimane da fare, forse andare a rubare visto quello che sta succedendo nelle varie regioni; forse ho sbagliato a nascere, crescere e vivere nell'onestà?”. Vogliamo che passi il messaggio dei parassiti che butteremmo tutti giù dalla torre o vogliamo iniziare a fare qualcosa per salvare i tanti “Michele” sparsi per tutta Italia?
E che dire della truffa da 100 milioni di euro ai danni di 400 comuni italiani e dei loro abitanti ad opera della Tributi Italia Spa, azienda con il compito di riscuotere l’Ici? Il capobanda è Giuseppe Saggese, ad della società, a cui il bottino ha dato alla testa, arrivando a prelevare 10.000 euro al giorno. Naturalmente sulla sua lista delle spese compaiono in primis i consueti status symbol: yacht, aerei privati, autovetture di lusso, soggiorni in località prestigiose, feste mondane.
Andranno tutti in galera? E chi c’è già, quanto ci resterà? In Italia, occorre rubare e uccidere tanto, tanto davvero, per restare impuniti o quasi. Chi tra di loro è agli arresti, è certo di uscire a breve per continuare a godersi la vita. No, loro non si suicidano. Purtroppo, resteranno ancora un peso per la nostra società, fatta soprattutto della numerosa base di invisibili che si suicidano e di quelli che soffrono, ma che ancora rifiutano l’idea di porre fine alla loro vita devastata dai problemi. Come Michele Pansera che oggi ha scritto al direttore di una testata giornalistica. Elettricista in cassa integrazione, vive con la moglie e la figlia di quasi 3 anni con 250 euro al mese in 37 mq. Scrive: “Mille curriculum vitae spediti ma mai nessuna risposta, cosa mi rimane da fare, forse andare a rubare visto quello che sta succedendo nelle varie regioni; forse ho sbagliato a nascere, crescere e vivere nell'onestà?”. Vogliamo che passi il messaggio dei parassiti che butteremmo tutti giù dalla torre o vogliamo iniziare a fare qualcosa per salvare i tanti “Michele” sparsi per tutta Italia?
Questo “Michele” dice di non avere intenzione di suicidarsi, soprattutto per non gettare nello sconforto i suoi cari. Lasciamo indifferenti che cambi idea?
lunedì 8 ottobre 2012
La miglior vita secondo Murakami
E una persona senza cuore è semplicemente un'illusione che cammina.
Intraprendere un lungo
viaggio nei meandri più oscuri del nostro subconscio per affrontare ciò che ci
tormenta. In La fine del mondo e il paese
delle meraviglie (Einaudi 2008), Murakami Haruki se lo raffigura come il mondo sotterraneo
di una metropoli futurista senz’anima. Le viscere di Tokyo sono un luogo
sordido e dedalico dove risiedono gli Invisibili, creature maligne che si
nutrono catturando esseri umani sui binari della metropolitana e che costituiscono
la trasposizione delle paure e dei dolori che ci portiamo dentro. Il
protagonista vi si addentra nel buio più completo. Sale e scende gradini, si
arrampica su funi, si incunea tra stretti passaggi, nuota. Un itinerario
costellato di trappole pericolosissime, dove la sua vita è a ogni passo appesa
a un filo.
E poi c’è il mondo parallelo: una città protetta da alte mura che cambiano forma come se fossero un organismo vivente, permettendo tutto per mantenere la perfezione. All’entrata del cancello c’è il Guardiano che concede al viaggiatore di entrare a un’unica condizione: rinunciare alla propria ombra. L’ombra viene staccata dal suolo con un coltello, destinandola a breve alla morte per essere poi sepolta nel cimitero, posto fuori della cinta muraria nel bosco di meli. La conseguenza per aver lasciato morire la propria ombra è la perdita del cuore. Non si potrà provare più alcun sentimento o emozione a favore della serenità eterna e dell’assenza di dolore.
Al viaggiatore, il Guardiano dà l’incarico di Lettore di sogni. Si tratti di frammenti di vecchi sogni contenuti nei crani degli unicorni, animali fantastici che muoiono per il peso delle numerose identità umane assorbite.
E poi c’è il mondo parallelo: una città protetta da alte mura che cambiano forma come se fossero un organismo vivente, permettendo tutto per mantenere la perfezione. All’entrata del cancello c’è il Guardiano che concede al viaggiatore di entrare a un’unica condizione: rinunciare alla propria ombra. L’ombra viene staccata dal suolo con un coltello, destinandola a breve alla morte per essere poi sepolta nel cimitero, posto fuori della cinta muraria nel bosco di meli. La conseguenza per aver lasciato morire la propria ombra è la perdita del cuore. Non si potrà provare più alcun sentimento o emozione a favore della serenità eterna e dell’assenza di dolore.
Al viaggiatore, il Guardiano dà l’incarico di Lettore di sogni. Si tratti di frammenti di vecchi sogni contenuti nei crani degli unicorni, animali fantastici che muoiono per il peso delle numerose identità umane assorbite.
Due mondi e due
protagonisti? La trama è ben più complessa.
La fine del mondo e il paese delle meraviglie è un libro che ci riporta alle domande di sempre.
Perché soffrire e poi morire? Non sarebbe meglio un mondo perfetto senza
problemi che ci permettesse di vivere in eterno? Forse vi sorprenderete nel
rispondervi a fine lettura.
martedì 25 settembre 2012
29 09 12 "Qui e ora". Flash mob a Bologna contro la violenza alle donne
Mentre assisteva al funerale della quarta donna uccisa quest’anno a Cesena, la pedagogista Patrizia Canale ha deciso di fare qualcosa per dare un piccolo contributo alla lotta contro gli atti di violenza verso il genere femminile, un fenomeno in rapida ascesa nel nostro paese che dall’inizio del 2012 conta già decine di delitti. E risulta ancora più inquietante e penoso sapere che buona parte delle donne vengono uccise in ambito familiare da compagni e mariti, da padri e da figli. I moventi vanno dalla gelosia all’impossibilità di accettare la fine di un rapporto; dalla punizione per non seguire le tradizioni in cui sono nate e cresciute a banali motivi economici.
Per tutti quelli che si riconoscono nei principi del rispetto, dell’ascolto, della libertà di pensiero, del valore della vita, la studiosa ha organizzato il flash mob Qui e ora. Uomini e donne insieme contro la violenza alle donne che si terrà a Bologna in Piazza Re Enzo, sabato 29 settembre 2012 alle ore 17. I partecipanti sono invitati a indossare un indumento bianco. Sarà presente l’attore Matteo Belli.
Per tutti quelli che si riconoscono nei principi del rispetto, dell’ascolto, della libertà di pensiero, del valore della vita, la studiosa ha organizzato il flash mob Qui e ora. Uomini e donne insieme contro la violenza alle donne che si terrà a Bologna in Piazza Re Enzo, sabato 29 settembre 2012 alle ore 17. I partecipanti sono invitati a indossare un indumento bianco. Sarà presente l’attore Matteo Belli.
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